Don Camillo al Convegno Ecclesiale di Firenze (Don Danilo Zanella)
Don Camillo da giorni era sparito dalla sua parrocchia senza lasciare traccia. Molti suoi parrocchiani erano così preoccupati da non escludere una loro partecipazione alla nota trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”. Ma ecco il colpo di scena: il sindaco Peppone che già si riteneva di avere le chance dell’agente 007, aperto il televisore e soffermandosi a seguire il Papa appena giunto a Firenze, scorse don Camillo tra folla esultante, quale invitato speciale a un importante Convegno della Chiesa italiana, celebrato ogni dieci anni. Il don era stato scelto fra i ‘parroci di prima linea’, che per il loro “odore delle pecore”, potevano testimoniare che è “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”; partendo dalla realtà che ogni uomo porta le impronte digitali di Dio. Il parroco ormai in treno pensava e pregava: “Signore, continuamente ricevo me stesso dalle tue mani: questa è la mia verità e la mia gioia; questo è il sempre nuovo ‘umanesimo’!”. Intanto, le comari della parrocchia, il cui ‘dna’ è ben noto a tutti, vollero informarsi di questo raduno eccezionale, e pregavano perché il loro parroco ‘coinvolto’ non tornasse a casa ‘sconvolto’ da una esperienza così grossa. Nella splendida città d’arte don Camillo era stupito dalla bellezza dei monumenti del centro storico fiorentino. Ma era pure ammirato nel vedere il tifo fuocoso per la Chiesa, di 2250 delegati provenienti da tutte le diocesi italiane con i loro vescovi, accerchiati da telecamere, fotografi e giornalisti. Entusiasmo che andò in crescendo quando il Santo Padre prese la parola nel grandioso duomo fiorentino sotto la cupola dove il Vasari dipinse il Giudizio universale con al centro l’”Ecce Homo“. Egli disse: Torniamo a Gesù, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della Passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6)”. Don Camillo a Firenze, e i suoi parrocchiani da casa che seguivano alla televisione, ad un dato momento non credevano alle loro orecchie, quando il Papa, per affermare un ‘umanesimo cristiano polare’, volle citare come esempio ciò che un noto giornalista aveva scritto sulla vita della terra padana: “Mi colpisce come la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». A questo punto il sindaco Peppone, non riuscì più a trattenersi e decise di prendere il primo treno per il capoluogo toscano. Il convegnista don Camillo ancora stralunato per la inaspettata citazione papale, ogni tanto pensava con nostalgia al suo gregge e a tutti i suoi ‘umani traballamenti pastorali’. E a un certo punto gli piacque ciò che il Papa disse sugli ‘appoggi’ di ogni buon Pastore: “Un vescovo si trovò in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un Pastore è la sua gente!”. Il logo del Convegno ecclesiale richiamava le linee della cupola brunelleschiana, dove due frecce orientavano alla croce, per poi diramarsi in cinque verbi trasformati in cinque vie: uscire – annunciare – abitare – educare – trasfigurare. Don Camillo contento del Convegno, gli venne la voglia di muoversi mettendo terra sotto i piedi. In un pomeriggio volle portarsi al famoso Convento di San Marco sulle tracce del santo sindaco di Firenze Giorgio La Pira, che amò l’inclusione sociale dei poveri e che aiutava con il cuore in mano; certo che la politica è il più alto e nobile servizio di carità. Don Camillo si fermò a meditare il sublime affresco dell’Annunciazione, che il Beato Angelico dipinse nel XV° Sec. E lì, nostro parroco superò se stesso, incominciando a coniugare i verbi del Convegno, quando ammirato contemplò: “Da questo stupendo affresco si capisce che il Beato Angelico dava ‘pennellate senza ripensamenti’! E da questo capolavoro traspare la certezza delle cose sperate!”. E aggiunse: “Così deve essere anche la nostra vita!”. Ma ecco che il don tornato alla sede del Convegno si trovò davanti nientepopòdimenochè il sindaco Peppone. Dopo essersi salutati con un certo ‘calore’, il sindaco partì in quarta: “Don Camillo eravamo in pensiero per la sua sparizione! Non so’ se paragonarla al Gesù dodicenne perduto fra i dottoroni del Tempio o al figliol prodigo?”. E don Camillo con un certo sarcasmo, replicò: “Ma, forse mi potreste paragonare alla pecorella perduta… che rientra nell’ovile da sola dopo aver incontrato improvvisamente un grosso lupo rosso!”. E Peppone: “Mi pare che il signor parroco più che cercare pecore da custodire preferisce gatte da pelare!”. Ma superato il primo impatto, don Camillo invitò Peppone a cena, memore della vecchia amicizia conflittuale. “Sai Peppone – confidò il don – in questi giorni ti ho pensato quando il Papa ha parlato che dobbiamo farci presenti come ‘educatori di strada’ e negli “ospedali da campo” del nostro tempo”. E il sindaco: “Perché ha pensato a me? Forse perché sono sempre stato un valido combattente?”. E il parroco: “Beh, caro sindaco, oggi ci sono ‘guerre culturali e morali’ ben più pericolose di quelle delle armi. Mai come oggi è in crisi l’uomo, la sua dignità, il suo essere maschio o femmina”. E Peppone al sentire parlare di gender, sbottò: “Vuoi vedere che quando passerò per una stalla non saprò più distinguere un toro da una mucca?”. Venne l’ora di suddividersi nell’aerea di ogni singola ‘via’ di discussione. E don Camillo si ritrovò “facilitatore” di gruppo, vocabolo fino allora a lui sconosciuto. Ma ben presto dovette fare il “frenatore”, perché nessuno i componenti il gruppo era balbuziente. Emerse subito quelle che sono le sfide dei falsi umanesimi non ancorati Dio. Qualcuno citò Teofilo di Antiochia quando dialogava con chi non credeva in Cristo: «Tu mi dici: mostrami il tuo Dio ed io ti dirò: mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il mio Dio». E non poteva mancare il riferirsi alla famosa affermazione del Concilio Vaticano II: ««Chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diventa pure lui più uomo. In realtà nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo: Cristo, mentre rivela il mistero del Padre e del suo amore, pure manifesta compiutamente l’uomo all’uomo e li rende nota la sua altissima vocazione» (cf GS 21-22). Peppone, non essendo addetto ai lavori, capì comunque che Cristo vero uomo, è il modello e la spinta per essere veri uomini. Ma Peppone, obiettò: “E come spiegare che Cristo c’è, a quanti hanno sofferto delle dure bastonate nella vita?”. E don Camillo, ormai lanciato, replicò: “Crediamo di sapere quante volte la sfortuna ci ha colpito, ma non sappiamo quante volte la Provvidenza ci ha salvato!”. Per dirla con Kierkegaard: “l’umanesimo di Gesù non è una strada impossibile, da quando L’Impossibile si è fatto nostra Strada!”. (continua)